Mi guarda Siena, mi guarda sempre, dalla sua lontana altura
mi lancia incontro la corsa delle sue colline…. M. Luzi
Come tutti sanno Siena è in collina, su tre “poggi” come Gerusalemme nei versi del Tasso, lontana dal mare, senza fiumi, senza laghi.
Come dentro i cavalloni di un mare immobile
Siena è in mezzo a un continente fra onde solide di terra, come i cavalloni del mare, le Crete, una terra morbida alle apparenze, quasi vellutata, ma screpolata, spaccata, ruvida nella realtà.
Ricoperte da uno strato sottile di sabbie gialle che si depositarono milioni di anni fa durante il sollevamento di questi territori dal mare pliocenico, mettono di marzo una peluria verde.
Barba di becco, serpentina, avena selvatica, ginestrino, trifoglio giallo delle sabbie, finocchiella, radicchio selvatico, santoreggia, timo, ginepro, artemisia, elicriso, salvia, rosmarino, varie specie di rosacee….
Sono state contate più di 30 tipi di flora pratense spontanea nelle Crete Senesi, piante, arbusti ed erbe particolari che rendono unico con i loro aromi, il latte delle pecore che se ne cibano e riempiono di sapide sfumature il nostro Pecorino
Un frammento di pasta color avorio che si stempera in bocca e ghermisce l’olfatto col suo sapore che sa del latte appena munto della pecora che, al pascolo, ha brucato erba rugiadosa e profumata come l’Artemisia Absinthium, dalle foglie argentate, che danno quel saporino stuzzicante, appetitoso, caratteristico (Cfr. Gastrosofia Sergio G. Grasso)
Il cacio delle Crete Senesi
Proprio così, il nome “cacio” che noi Toscani continuiamo ad usare, è la più significativa testimonianza dell’antica presenza del formaggio sulle nostre tavole; infatti deriva dal latino “caseus”, successivamente sostituito quasi in tutta Italia dal termine “formaticum” che deriva invece dal greco “formos”, cioè il canestro di vimini destinato appositamente alla produzione del formaggio.
Nella sua versione storica il Cacio Pecorino delle Crete Senesi veniva prodotto soprattutto in primavera (da cui il nome “marzolino”), quando i pascoli sono ricchi di germogli teneri e molto profumati di cui le pecore sono ghiotte, con latte, rigorosamente crudo.
Qualche anziano contadino ricorda ancora la raccolta dei fiori della “presura”, gli stami del carciofo selvatico (Cynara cardunculus o cardo); i grandi fiori viola ricchi di enzimi accaglianti venivano conservati gelosamente a volte anche coltivati negli orti di casa e, macerati con aceto e sale, aggiunti al latte per garantire la produzione del formaggio per tutto l’anno a venire.
Ma facciamoci guidare da Ignazio Malenotti
Nel suo “Manuale del pecoraio” del 1832 scrive:
“Prima di tutto avvertiamo, che noi abbiamo due qualità principali di cacio, quello cioè così detto forte e che pizzica , e l’altro dolce.
Si ottiene il primo coagulandolo, o accagliando…il latte col mezzo del caglio, e il secondo col fiore di carciofo selvatico detto presame, e conosciuto dalla più parte dei nostri contadini col vocabolo di presura; pianta originaria della Toscana, che nasce spontanea e in gran copia…Non è di recente dato l’uso di questo vegetabile, giacchè per averne caci pastosi, delicati e della miglior qualità, vien raccomandato da Columella, da Palladio, da Eliano, e perfino da Berizio…..